Il Messaggero - 30 ottobre 2008
Oltre la battaglia elettorale La vera sfida dell’America in un mondo multipolare
Gli avvenimenti politici ed economici internazionali si susseguono con una tale rapidità da non lasciarci il tempo per riflettere su di essi. Finiamo di conseguenza con l’essere vittime di emozioni che tutto frammentano e nulla spiegano.
Nell’estate scorsa ad esempio è stato vissuto in modo prevalentemente emotivo anche il caso della Georgia, come se esso fosse nato dal nulla, mentre era frutto di una serie di eventi, di mosse e di reazioni che risalgono ben lontano nel tempo.
Per anni, dopo la caduta dell’impero sovietico, si era infatti pensato che il mondo sarebbe stato dominato, per tutto il prevedibile futuro, dalla sola potenza militare americana. Non che la supremazia americana potesse o possa essere messa in dubbio, ma molti osservatori andavano ben oltre, pensando che gli Stati Uniti potessero da soli governare tutto il mondo. D’altre parte l’11 settembre aveva spinto la grande maggioranza degli americani a sostenere una linea politica che concretizzasse questo obiettivo e la guerra in Iraq doveva infatti essere, agli occhi di chi l’aveva promossa, la dimostrazione sul campo di questa tesi.
Le cose sono andate diversamente: non solo perché non vi è stata la preannunciata facile vittoria sul campo di battaglia ma perché, nel frattempo, tutto intorno era cambiato. Cresceva rapidamente la presenza cinese, si ricostruiva sempre più forte l’identità russa, si presentavano all’orizzonte l’India e il Brasile e la stessa Unione Europea, pur con i suoi infiniti problemi politici, cominciava a diventare un punto di riferimento.
Dopo il mondo bipolare della guerra fredda e la breve parentesi monopolare americana, siamo quindi progressivamente ritornati al vecchio modulo di un mondo composto da diverse grandi potenze, anche se con gli Stati Uniti certamente più forti degli altri, ma non in grado di reggere da soli il peso di tutto il pianeta.
Sia chiaro: la capacità degli Stati Uniti di essere il punto più forte della politica mondiale è ancora concreta e reale ma questa leadership non può più essere esercitata in modo solitario. Non siamo ritornati al Congresso di Vienna perché rispetto a quei tempi vi sono almeno due grandi novità. La prima è la crescente importanza delle organizzazioni internazionali a cominciare dall’ONU per passare all’Organizzazione mondiale per il Commercio, al Fondo Monetario Internazionale e alla stessa Unione Europea. La seconda è la troppo diffusa presenza di armi nucleari che rende il mondo più pericoloso ma che, nello stesso tempo, spinge i governanti a comportamenti prudenti, come avveniva già ai tempi della guerra fredda.
I nuovi protagonisti della politica mondiale tendono naturalmente a sfruttare questi eventi. Non solo nel campo politico ma anche in quello dei rapporti economici e commerciali. Pensiamo a come i paesi in via di sviluppo (guidati da India, Cina e Brasile) abbiano bloccato i grandi negoziati di Doha sul commercio internazionale.
Non era solo una difesa di interessi economici (riguardo ai quali un compromesso era ancora possibile) ma una vera e propria dimostrazione di forza nei confronti degli Stati Uniti e dell’Europa. Essi hanno voluto fare vedere a tutti che il mondo era cambiato e che senza il loro assenso nessuna decisione poteva essere presa.
Lo stesso sta avvenendo nel campo politico: il conflitto fra Russia e Georgia ne è una conferma. La Russia ha voluto riaffermare, dopo le umiliazioni che hanno seguito la dissoluzione dell’impero sovietico, la ricostruzione di una propria forza e di una propria sfera di influenza.
Non credo che questo sia un episodio unico e non credo nemmeno che si limiti alla Russia perché la ricomposizione del potere in ambito mondiale è appena cominciata e sarà ulteriormente accelerata dalla crisi economica e finanziaria di cui ancora è difficile prevedere l’esito finale. Quello che è certo è che la Russia, con la strategia portata avanti in Georgia, ha rimesso a nuovo la vecchia dottrina delle zone di influenza.
Nonostante i suoi problemi interni (demografici, politici ed anche economici) ha, con grande tempismo, approfittato di un momento di difficoltà degli Stati Uniti per ribadire che, nel mondo multipolare, esistono aree di rispetto e che, perciò, non avrebbe né gradito né permesso un ulteriore avanzamento della NATO sulla soglia di casa propria.
Nelle ultime settimane la Russia è diventata più prudente (o almeno meno assertiva) sia perché aveva sostanzialmente ottenuto quello che voleva, sia perché la crisi finanziaria e il crollo del prezzo del petrolio mettevano un poco in sordina un orgoglio nazionale che non sembrava avere più limiti. Pur lasciando per ora da parte gli effetti della crisi finanziaria, non vi è dubbio che nello spazio degli ultimi anni il mondo è cambiato, anche se ce ne siamo accorti solo da pochi mesi.
Di questo cambiamento dovrà essere consapevole il prossimo Presidente degli Stati Uniti. Esso dovrà agire sapendo che la propria forza è sempre la maggiore nel mondo ma che esistono limiti e sfere di influenza da rispettare. E che l’uso della forza potrà essere esercitato solo se accompagnato dalla consapevolezza e dal rispetto delle nuove realtà della politica mondiale.
È una regola che vale per tutti, e che anche molti paesi europei hanno compreso, sia nella scorsa primavera quando Francia, Germania e Italia hanno spinto alla prudenza riguardo ad un allargamento non concordato della Nato fino ai confini della Russia, sia qualche anno fa quando l’Unione Europea aveva posto un limite alla sua stessa prospettiva di allargamento, proponendo di creare attorno a sé un anello di paesi legati da stretti rapporti di collaborazione e di amicizia ma senza che essi divenissero membri dell’Unione Europea.
Da un mondo monopolare siamo quindi tornati di nuovo ad un mondo multipolare, con più protagonisti, con necessità di prudenza addizionale e con l’esigenza di una più forte presenza arbitrale da parte delle Nazioni Unite.
Se il prossimo Presidente degli Stati Uniti saprà correttamente interpretare questo nuovo mondo, il suo paese sarà in grado di giocare in modo attivo e credibile il ruolo di baluardo della libertà e della democrazia che in tante occasioni ha esercitato.
Se cercherà di continuare a esercitarlo in modo solitario non potrà certo riuscire nel suo obiettivo. Per questo motivo la sfida fra Obama e McCain è più che una semplice sfida elettorale.
Romano Prodi
Oltre la battaglia elettorale La vera sfida dell’America in un mondo multipolare
Gli avvenimenti politici ed economici internazionali si susseguono con una tale rapidità da non lasciarci il tempo per riflettere su di essi. Finiamo di conseguenza con l’essere vittime di emozioni che tutto frammentano e nulla spiegano.
Nell’estate scorsa ad esempio è stato vissuto in modo prevalentemente emotivo anche il caso della Georgia, come se esso fosse nato dal nulla, mentre era frutto di una serie di eventi, di mosse e di reazioni che risalgono ben lontano nel tempo.
Per anni, dopo la caduta dell’impero sovietico, si era infatti pensato che il mondo sarebbe stato dominato, per tutto il prevedibile futuro, dalla sola potenza militare americana. Non che la supremazia americana potesse o possa essere messa in dubbio, ma molti osservatori andavano ben oltre, pensando che gli Stati Uniti potessero da soli governare tutto il mondo. D’altre parte l’11 settembre aveva spinto la grande maggioranza degli americani a sostenere una linea politica che concretizzasse questo obiettivo e la guerra in Iraq doveva infatti essere, agli occhi di chi l’aveva promossa, la dimostrazione sul campo di questa tesi.
Le cose sono andate diversamente: non solo perché non vi è stata la preannunciata facile vittoria sul campo di battaglia ma perché, nel frattempo, tutto intorno era cambiato. Cresceva rapidamente la presenza cinese, si ricostruiva sempre più forte l’identità russa, si presentavano all’orizzonte l’India e il Brasile e la stessa Unione Europea, pur con i suoi infiniti problemi politici, cominciava a diventare un punto di riferimento.
Dopo il mondo bipolare della guerra fredda e la breve parentesi monopolare americana, siamo quindi progressivamente ritornati al vecchio modulo di un mondo composto da diverse grandi potenze, anche se con gli Stati Uniti certamente più forti degli altri, ma non in grado di reggere da soli il peso di tutto il pianeta.
Sia chiaro: la capacità degli Stati Uniti di essere il punto più forte della politica mondiale è ancora concreta e reale ma questa leadership non può più essere esercitata in modo solitario. Non siamo ritornati al Congresso di Vienna perché rispetto a quei tempi vi sono almeno due grandi novità. La prima è la crescente importanza delle organizzazioni internazionali a cominciare dall’ONU per passare all’Organizzazione mondiale per il Commercio, al Fondo Monetario Internazionale e alla stessa Unione Europea. La seconda è la troppo diffusa presenza di armi nucleari che rende il mondo più pericoloso ma che, nello stesso tempo, spinge i governanti a comportamenti prudenti, come avveniva già ai tempi della guerra fredda.
I nuovi protagonisti della politica mondiale tendono naturalmente a sfruttare questi eventi. Non solo nel campo politico ma anche in quello dei rapporti economici e commerciali. Pensiamo a come i paesi in via di sviluppo (guidati da India, Cina e Brasile) abbiano bloccato i grandi negoziati di Doha sul commercio internazionale.
Non era solo una difesa di interessi economici (riguardo ai quali un compromesso era ancora possibile) ma una vera e propria dimostrazione di forza nei confronti degli Stati Uniti e dell’Europa. Essi hanno voluto fare vedere a tutti che il mondo era cambiato e che senza il loro assenso nessuna decisione poteva essere presa.
Lo stesso sta avvenendo nel campo politico: il conflitto fra Russia e Georgia ne è una conferma. La Russia ha voluto riaffermare, dopo le umiliazioni che hanno seguito la dissoluzione dell’impero sovietico, la ricostruzione di una propria forza e di una propria sfera di influenza.
Non credo che questo sia un episodio unico e non credo nemmeno che si limiti alla Russia perché la ricomposizione del potere in ambito mondiale è appena cominciata e sarà ulteriormente accelerata dalla crisi economica e finanziaria di cui ancora è difficile prevedere l’esito finale. Quello che è certo è che la Russia, con la strategia portata avanti in Georgia, ha rimesso a nuovo la vecchia dottrina delle zone di influenza.
Nonostante i suoi problemi interni (demografici, politici ed anche economici) ha, con grande tempismo, approfittato di un momento di difficoltà degli Stati Uniti per ribadire che, nel mondo multipolare, esistono aree di rispetto e che, perciò, non avrebbe né gradito né permesso un ulteriore avanzamento della NATO sulla soglia di casa propria.
Nelle ultime settimane la Russia è diventata più prudente (o almeno meno assertiva) sia perché aveva sostanzialmente ottenuto quello che voleva, sia perché la crisi finanziaria e il crollo del prezzo del petrolio mettevano un poco in sordina un orgoglio nazionale che non sembrava avere più limiti. Pur lasciando per ora da parte gli effetti della crisi finanziaria, non vi è dubbio che nello spazio degli ultimi anni il mondo è cambiato, anche se ce ne siamo accorti solo da pochi mesi.
Di questo cambiamento dovrà essere consapevole il prossimo Presidente degli Stati Uniti. Esso dovrà agire sapendo che la propria forza è sempre la maggiore nel mondo ma che esistono limiti e sfere di influenza da rispettare. E che l’uso della forza potrà essere esercitato solo se accompagnato dalla consapevolezza e dal rispetto delle nuove realtà della politica mondiale.
È una regola che vale per tutti, e che anche molti paesi europei hanno compreso, sia nella scorsa primavera quando Francia, Germania e Italia hanno spinto alla prudenza riguardo ad un allargamento non concordato della Nato fino ai confini della Russia, sia qualche anno fa quando l’Unione Europea aveva posto un limite alla sua stessa prospettiva di allargamento, proponendo di creare attorno a sé un anello di paesi legati da stretti rapporti di collaborazione e di amicizia ma senza che essi divenissero membri dell’Unione Europea.
Da un mondo monopolare siamo quindi tornati di nuovo ad un mondo multipolare, con più protagonisti, con necessità di prudenza addizionale e con l’esigenza di una più forte presenza arbitrale da parte delle Nazioni Unite.
Se il prossimo Presidente degli Stati Uniti saprà correttamente interpretare questo nuovo mondo, il suo paese sarà in grado di giocare in modo attivo e credibile il ruolo di baluardo della libertà e della democrazia che in tante occasioni ha esercitato.
Se cercherà di continuare a esercitarlo in modo solitario non potrà certo riuscire nel suo obiettivo. Per questo motivo la sfida fra Obama e McCain è più che una semplice sfida elettorale.
Romano Prodi