Gli appelli Lettere all’Europa
Prodi scrive a Sassoli: “La connessione web sia un diritto umano”
Richiesta di intervento alle Nazioni unite per l’accesso a Internet: “Bisogna superare le diseguaglianze tra gli studenti”
Articolo di Giovanna Casadio su La Repubblica del 17 luglio 2020
La missiva dell’ex premier al presidente del Parlamento europeo
ROMA – “Siamo passisti, non velocisti, ma sulla connessione Internet come diritto umano la spunteremo “. Usa la metafora ciclistica Romano Prodi. Perché l’ultima battaglia che gli sta a cuore richiede fiato e resistenza, però è una delle priorità che – dice l’ex premier – “questa pandemia, la disgrazia che ci ha colpiti, ha reso ancora più evidente “. La diseguaglianza passa ormai anche da qui: dall’impossibilità di connessione. Qualcosa si muove. Il segretario Pd Nicola Zingaretti ha annunciato che uno dei punti di “Next generation Italia“, il piano per i giovani, sarà proprio la richiesta di inserire in Costituzione il diritto alla connessione. E Prodi lo ha messo nero su bianco in un documento ampio e pieno di riferimenti indirizzato al presidente dell’europarlamento Davide Sassoli, affinché sia il Parlamento europeo a farsi promotore presso le Nazioni Unite di questo indispensabile asset per il mondo che verrà. O meglio, che già è. “Determinante per la vita è la connessione, come l’acqua o il cibo. Forse esagero un po’, ma la connessione a internet ha un forte impatto su attività come l’istruzione, la sanità, la lotta alla povertà, la possibilità di creare lavoro”. Ecco, l’istruzione è in cima ai pensieri del Professore. “Scoppiato il Covid, si è reso evidente il problema del diritto umano: di questo appunto stiamo parlando. Ci sono bambini “staccati” che non hanno quindi gli stessi diritti di coloro che hanno la connessione”, rilancia. Nel documento il significato e le conseguenze della mancanza di connessione per l’educazione sono indicati come “esempio lampante”. Dice l’ex premier ed ex presidente della commissione Ue: “Sei meno capace di esprimerti se non sei interconnesso”. La “Internet connectivity” come diritto umano è la posta in gioco oggi. Ma la scommessa parte da lontano, dall’autunno del 2017, quando la Foundation of Worldwide cooperation, presieduta da Prodi, organizza una discussione con un nutrito gruppo di istituzioni – dalla Columbia University all’Accademia pontificia, con Nicholas Negroponte e intellettuali, informatici, economisti, Facebook- ponendo al centro il dossier sulla connessione alla rete. Solo tre anni fa, poco più di mille giorni, e quella che pareva ai più una discussione accademica diventa parte della vita quotidiana. Le famiglie italiane sono state alle prese in questi mesi di lungo lockdown con le lezioni telematiche dei figli, i lavoratori con lo smart working: la differenza di opportunità è passata da qui, e si è squadernata davanti ai nostri occhi. Nella commissione per i diritti umani dell’Onu si è parlato della “internet connectivity”. Spetta adesso all’europarlamento fare la sua parte, avendo chiaro che l’aspetto tecnologico va esaminato dal punto di vista “economico, umanitario, etico, legale, filosofico ” e che non si sta parlando di business, bensì di diritti. La miccia di tutto questo è stata una analisi sulla diversità in Africa, tra chi è connesso e chi non lo è, e si è approdati ai giorni nostri e alla nostra vita. Importantissimo è il pronunciamento europeo, che suona come indirizzo per i 27 Paesi Ue. “Aiuta a creare una coscienza collettiva, a partire da subito”, ribadisce Prodi. Certo occorre la consapevolezza degli interessi economici fortissimi che si muovono attorno alla rete. Pochi giorni fa la Gran Bretagna ha vietato i 5G cinesi. Però qui si sta parlando di diritti. E c’è da sgombrare il campo da uno dei timori che frenano il riconoscimento della connessione come diritto umano: che cioè la si leghi alla esclusiva gratuità della rete. Non è così, spiega Prodi. “Ci saranno casi di accesso gratuito, ma il mercato farà la sua strada”.
La risposta del presidente dell’Europarlamento a Romano Prodi
Sassoli: “Il diritto al web sia una battaglia europea”
Articolo di David Sassoli su La Repubblica del 19 luglio 2020
Caro Direttore, la lettera che il presidente Romano Prodi ha voluto rivolgermi solleva una questione centrale per il futuro della democrazia e del modello sociale europeo. Sono convinto anch’ io che l’Unione europea possa svolgere un ruolo di guida nella definizione di standard mondiali per un accesso alla Rete uguale per tutti contribuendo, nel contesto multilaterale, alla discussione avviata dalle Nazioni Unite. Mai come in questi mesi di lockdown migliaia di persone in Europa e nel mondo hanno dovuto lavorare, studiare, acquistare cibo, comunicare con le persone care utilizzando una connessione Internet. Al tempo stesso, l’impossibilità di accesso alla rete, per ragioni geografiche, economiche o sociali, si è rivelata un pesante elemento di marginalizzazione. Per molti bambini non avere accesso a Internet ha significato in questi lunghi mesi vedersi negare il diritto fondamentale all’istruzione e alla conoscenza. Ma non solo. Per tante donne e uomini, l’impossibilità a connettersi ha prodotto mancanza di informazioni e messo a rischio la loro vita. Internet, così come lo conosciamo, si basa sul principio innovatore e profondamente democratico della neutralità della rete. Questo principio stabilisce che tutti i bit che circolano in Internet siano trattati allo stesso modo, senza discriminazioni. Non possono essere rallentati o avere priorità a seconda del potere d’acquisto di chi li emette o ne è destinatario. In questo momento l’Unione Europea è il principale attore globale che garantisce per legge questo principio così fondamentale della nostra epoca. Però non basta. Perché non sia fonte di disuguaglianza, è altrettanto necessario che l’accesso alla Rete si basi su regole di equità. Come nel caso dell’energia elettrica o di altri servizi considerati essenziali, l’impossibilità di accedere a Internet – il cosiddetto divario digitale – non ha soltanto impatto sul lavoro, l’impresa, lo sviluppo scientifico, sociale e culturale. Altrettanto forti sono gli effetti sulla vita quotidiana delle persone, negli aspetti anche intimi del loro benessere e della loro felicità. L’uguaglianza non è un punto di partenza, ma un obbiettivo. Siamo abituati a pensare alla Rete troppo in termini di piattaforme e algoritmi e meno in chiave di diritti. Abbiamo bisogno di offrire, invece, risposte democratiche a domande che appaiono tecniche quando in realtà non lo sono. Già nel 2016 il Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu ha realizzato un passo importante adottando la Risoluzione sulla Promozione, la protezione e l’esercizio dei diritti umani su Internet. Una decisione volta a proteggere i diritti delle persone che usano la Rete, invitando gli Stati ad adottare politiche pubbliche per un accesso universale a Internet. Un passaggio importante arrivato a seguito dell’iniziativa pionieristica dell’amministrazione Obama che proclamò nel 2014 Internet “servizio pubblico”. Una decisone poi negata 3 anni dopo dalla presidenza Trump con l’abrogazione della norma che sanciva la neutralità della Rete. Queste circostanze lasciano ora all’Unione Europea la responsabilità di essere il punto di riferimento per definire i diritti di accesso. Il Covid19 ha reso palese qualcosa di già evidente: la digitalizzazione non aspetta. La questione non è se avverrà o meno, ma se sarà per tutti. Dobbiamo sbarazzarci dei luoghi comuni, adottare un atteggiamento razionale, impegnare le istituzioni a guidare questo cambiamento. Non possiamo continuare ad oscillare tra la fede incondizionata nella tecnologia e l’oscurantismo di coloro che attribuiscono al digitale tutti i problemi del nostro tempo. Internet non è solo tecnologia, ma è l’epoca in cui viviamo. È al pari di quanto avvenne con la stampa che non fu solo l’invenzione di una macchina, ma lo strumento per l’accesso all’informazione e alla formazione delle moderne opinioni pubbliche. Non è necessario conoscere la tecnologia con cui sono fatti i libri per trarre beneficio da ciò che contengono. É un inganno far credere che le persone non possano approfittare in modo equo e dignitoso di ciò che il digitale offre se non conoscono la sua tecnologia. Questo porta ad ingiustizie. Non si tratta di tempestare di App gli utenti, finché diventino clienti fedeli o estenuati si ritraggano abbandonando l’uso di questi strumenti. Il punto è assicurare trasparenza, informazione in modo che ognuno abbia la capacità di capire e decidere. Per questo è indispensabile un nuovo protagonismo delle istituzioni pubbliche e un dialogo intenso con le imprese e i cittadini per promuovere logiche distributive e non monopolistiche. Questo ci permetterà di prendere iniziative, di coltivare le nostre conoscenze, di ottenere che i governi rendano conto delle loro decisioni o di verificare che la digitalizzazione non violi la libertà personale con l’estrazione e la privatizzazione dei dati. L’accesso alla rete come nuovo diritto umano. Il Parlamento europeo è pronto a questa sfida. Nell’agenda europea due appuntamenti sono già indicati: la discussione dopo l’estate sulla proposta della Commissione UE di un quadro legislativo sui servizi digitali (Digital Services Act) e il dibattito che si svilupperà in seno alla Conferenza sul futuro dell’Europa. Dobbiamo scrivere il nostro tempo. Per questo serve indicare la strada verso una digitalizzazione a misura di umanità. L’autore è presidente del Palamento Europeo