[lang_it]di Romano Prodi su Il Messaggero del 22 Marzo 2009
L’Africa è ancora senza pace. Innumerevoli conflitti devastano il continente dalla Somalia, al Darfur, fino ai Grandi Laghi e alle coste dell’Oceano Atlantico. Il costo di questi conflitti si conta in milioni di morti, in distruzioni senza fine e nel blocco di qualsiasi processo di sviluppo. Alcuni di questi conflitti, anche se non con la dovuta profondità, sono noti all’opinione pubblica mondiale, mentre altri portano dolore e morte nell’indifferenza totale della comunità internazionale.
L’Africa è senza pace e non c’è sviluppo senza pace.
Una pace che non può essere ottenuta solo con le armi, ma con la prevenzione dei conflitti e la riconciliazione. E che si deve fondare sulla costruzione di strutture statuali, di una efficiente burocrazia, di un’etica pubblica e di grandi investimenti per strade, scuole, ospedali e strutture produttive.
Solo a queste condizioni si potrà rompere il ciclo della violenza.
La comunità internazionale e i paesi africani in particolare debbono essere messi in grado di vincere questa sfida sia per mezzo delle missioni di pace, sia (direi soprattutto) esercitando la necessaria azione per la prevenzione dei conflitti.
Le Nazioni Unite hanno svolto un’azione sempre più incisiva in queste direzioni e l’Africa costituisce il punto di maggiore impegno nel difficile sforzo di costruzione della pace.
Le truppe di pace dell’ONU schierate sui diversi fronti del pianeta sono oggi più di 110.000, di cui i tre quarti concentrati nel continente africano.
La spesa dell’ONU per il mantenimento della pace è passata da 1,5 Miliardi di dollari nel 2000 ai 7-8 miliardi di dollari oggi.
È uno sforzo grande ma che equivale al costo di poche settimane della sola guerra in Iraq e di poche ore del totale delle spese militari nel mondo.
L’attuale azione delle nazioni Unite deve essere quindi potenziata e resa più incisiva dal contributo di tutti i paesi che hanno i mezzi tecnici ed economici per raggiungere questi obiettivi.
Eppure le loro opinioni pubbliche fanno sempre più fatica ad accettare che sia messa a rischio la vita dei propri concittadini in paesi lontani e spesso del tutto sconosciuti.
Nonostante le riconosciute necessità, i paesi ricchi sono quindi riluttanti ad inviare uomini e truppe per interporsi nei conflitti in Africa.
È già stato difficile organizzare nel 2006 la provvidenziale e importantissima missione di pace in Libano. È quasi impossibile una simile missione nello scacchiere africano, dove questi interventi sono altrettanto necessari.
Non dobbiamo perciò stupirci quando ci rendiamo conto che troppo spesso gli sforzi delle Nazioni Unite non sono adeguati al compito né sotto l’aspetto quantitativo nè sotto l’aspetto qualitativo.
Per questo motivo il Segretario delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha affidato a un piccolo gruppo di lavoro (High Level Group) da me presieduto, il compito di rendere più efficace questo sforzo, promuovendo una più stretta collaborazione tra le Nazioni Unite e l’Unione Africana, una giovane struttura che raccoglie, ad imitazione dell’Unione Europea, tutti i paesi africani (escluso il Marocco) al fine di costruire crescenti strumenti di cooperazione politica ed economica.
Una collaborazione complessa perché, da un lato, è chiaro che le decisioni che riguardano la pace e la guerra non possono che essere nelle mani (e solo nelle mani) del Consiglio di Sicurezza e dell’Assemblea delle Nazioni Unite mentre, dall’altro, è utile che l’Unione Africana sia messa in grado di contribuire in modo determinante al mantenimento della pace nel Continente.
Un crescente ruolo dell’Unione Africana non risponde solo a necessità di tipo “militare” ma è la condizione per una più efficace azione politica nei confronti delle parti in conflitto.
Parlando di Unione Africana ci si riferisce a una realtà ancora in formazione, che deve essere quindi progressivamente rafforzata non solo per costruire la pace ma anche per promuovere le cooperazioni economiche e politiche necessarie per il futuro di un continente frammentato in cinquantaquattro diversi stati, molti dei quali con un mercato interno così piccolo che non permette alcuno sviluppo futuro.
Le proposte concrete presentate da “Gruppo di lavoro” al Consiglio di Sicurezza e alla Commissione per il Peacekeeping dell’ONU vanno in due direzioni.
La prima prevede la possibilità dell’Unione Africana di utilizzare le risorse del bilancio delle missioni di pace delle Nazioni Unite per interventi che, per essere efficaci, debbono essere rapidi ed immediati e che, quindi, possono essere più efficacemente svolti da una struttura che opera in costante contatto con il teatro dei conflitti. Questa supplenza dell’Unione Africana deve essere limitata ad un periodo di sei mesi, dopo i quali la responsabilità delle operazioni dovrà ritornare alle Nazioni Unite.
La seconda proposta prevede la creazione di un nuovo grande fondo mondiale, al cui contributo dovranno partecipare tutti i paesi che hanno interessi e presenza nel continente africano, partendo dagli Stati Uniti e dall’Europa, ma coinvolgendo paesi di tutti i continenti, a cominciare dalla Cina che è, in questo momento, l’unico paese ad avere in Africa una strategia a livello globale.
Con questi mezzi l’Unione Africana potrà finalmente attrezzarsi con gli strumenti civili e militari necessari per svolgere un ruolo strategico nel costruire la pace e lo sviluppo del proprio continente.
Non è infatti possibile raggiungere la pace in Africa senza una presenza forte, attiva e continuativa da parte di chi rappresenta gli africani.
Nei prossimi mesi questi due progetti verranno perfezionati negli aspetti operativi. Già da ora, tuttavia, nonostante le difficoltà economiche, le reazioni di molti dei paesi consultati appaiono favorevoli a dedicare attenzioni e risorse per il nuovo fondo a servizio della pace in Africa.
Occorrerà ancora molto lavoro per fare prevalere l’idea che la pace in Africa è dovere e interesse di tutti, ma è tuttavia consolante constatare che questo lavoro è almeno cominciato.
Romano Prodi[/lang_it]