“Flessibilità e integrazione La sanità del futuro ripartirà dal territorio”
La dg del Sant’Orsola: “Riorganizzazione dei posti letto, priorità alle strutture pubbliche. Nuovo ruolo per i medici di Medicina generale”
Intervista di Andrea Zanchi a Chiara Gibertoni su Il Resto del Carlino ed. Bologna del 14 giugno 2020
‘Quale sanità si può costruire?’ è l’intervento che Chiara Gibertoni, dg del Sant’Orsola e commissario straordinario dell’Ausl, terrà mercoledì durante ‘Bologna al futuro’, la tre giorni di incontri e seminari (da martedì a giovedì, dalle 18 alle 20) organizzata dalla Fondazione per la Collaborazione tra i Popoli presieduta da Romano Prodi, in collaborazione con Nomisma, Istituto De Gasperi, Fondazione Innovazione Urbana e Urban@it e con il contributo di Banca di Bologna. La tre giorni si terrà in diretta streaming per ragioni di sicurezza legate alla pandemia, scartata l’ipotesi di rimandare l’evento all’autunno (“troppo vicino alla prossima campagna elettorale per le Comunali, con il rischio che vi fossero letture politiche dell’iniziativa, che invece è stata pensata per Bologna, con il solo scopo di offrire un’analisi utile al suo prossimo futuro” specifica Prodi). Primo
appuntamento martedì alle 18 con ‘Bologna europea in una Regione a rete’, introdotto dall’ex premier e da Walter Vitali.
Integrazione, specializzazione e rapportoì sempre più stretto con il territorio. La sanità del futuro secondo Chiara Gibertoni, dg del Sant’Orsola e commissario straordinario dell’Ausl, è riassunta in tre parole. A maggior ragione dopo l’esperienza del Coronavirus, con il carico di lavoro, novità e incognite che la pandemia ha portato tra le corsie degli ospedali di tutta Italia, Due Torri comprese. Anche di questo Gibertoni parlerà mercoledì prossimo nella tre giorni di incontri ‘Bologna al futuro’, organizzata dalla Fondazione per la Collaborazione dei popoli, in occasione dell’incontro dal titolo ‘Quale sanità si può costruire?”
Domanda d’obbligo, dopo lo tsunami del Covid 19: da dove riparte la sanità post-virus?
“Dall’integrazione dei livelli di assistenza prima di tutto. In seguito dalla specializzazione delle competenze già presenti – e su questo il passaggio del Sant’Orsola a Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico darà una spinta straordinaria (servirà all’incirca un altro mese per l’ok definitivo; ndr) -, dal rafforzamento della sanità territoriale e dalla crescita della relazione con i medici di base e di Medicina generale. E poi da un cambio di mentalità”.
Tradotto?
“Per anni il concetto dell’efficienza è stato il punto di riferimento del mondo sanitario, quasi il solo valore possibile. Intendiamoci: l’efficienza serve, manon può diventare l’unico metro di giudizio e l’unico mandato in termini aziendali, anche perché un approccio del genere irrigidisce il sistema. Lo abbia mo visto proprio durante la pandemia, quando è stata la flessibilità a giocare un ruolo decisivo
nel contrastare il virus. E anche per questo dobbiamo ringraziare tutti gli operatori sanitari per il lavoro che hanno svolto negli ultimi mesi, sono stati davvero eccezionali. La flessibilità e il suo valore sono due elementi da riscoprire per la sanità del futuro”.
Di flessibilità ce ne vorrà molta per riorganizzare gli oltre 400 posti letto ‘in eccesso’ a causa delle nuove regole dettate dal virus. La priorità resta sempre trovare nuovi spazi dentro le strutture pubbliche?
“Certamente. Ma non dobbiamo redistribuire i posti letto giusto per riempire in qualche modo gli spazi di altri ospedali pubblici. Bisognerà seguire sempre la logica dell’integrazione tra strutture e tra le singole competenze scientifiche, per fare un lavoro in prospettiva. L’intervento di Regione e Università nel processo di riorganizzazione va in questa direzione”.
Un esempio concreto di cosa e come si potrebbe fare?
“Prendiamo il servizio di Urologia: i posti letto si possono redistribuire tra i grandi ospedali della città, mentre per le attività a bassa intensità si può fare affidamento sull’ospedale di San Giovanni in Persiceto”.
E per gli esami e le visite specialistiche rimaste in sospeso a causa della pandemia?
“L’immediato esiste e dobbiamo affrontarlo. Sarà necessario trovare soluzioni temporanee, e questo sarà possibile solo mettendo a sinergia tutto il sistema sanitario territoriale, compreso il privato convenzionato. Per me però deve valere sempre e solo un principio”.
Quale?
“Dai privati convenzionati do-vremo affittare dei luoghi dove svolgere l’attività sanitaria: competenze e professionisti del pubblico dovranno rimanere nel perimetro del Sistema sanitario nazionale. Una delle cose che dobbiamo evitare è la frammentazione della sanità pubblica e delle sue eccellenze, fondamentali per tutto il territorio”.
Con il virus si è riproposto il tema di un’assistenza sanitaria più vicina ai cittadini. I prossi- mi anni serviranno per far decollare le Case della Salute?
“Io penso che queste strutture siano già decollate per bene, come ad esempio al Navile o a San Pietro in Casale. L’importante è che non diventino poli accentratori come gli ospedali ma stru- menti per garantire lo sviluppo dell’assistenza territoriale, in particolare nei confronti di quella fascia di popolazione fragile che avevamo ben presente già prima del virus. Dobbiamo arrivare a una presa in carico tempestiva da parte dei servizi territoriali”.
Come fare?
“Il tassello che ci mancava è il raccordo tra le Case della salute e i medici di Medicina generale: ci stiamo lavorando e siamo in dirittura di arrivo, anche dal punto di vista sindacale”.
In concreto cosa cambierà?
“Andiamo verso la creazione di una serie di piccoli team dove il medico di Medicina generale non è più da solo in ambulatorio, ma lavora con altri medici – specializzati in determinati settori oppure i giovani – e coordina un gruppo di lavoro di cui fanno parte anche infermieri e amministrativi. Con un unico obiettivo: garantire un’assistenza territoriale tagliata sulla necessità dei pazienti più fragili, anche il sabato e la domenica”